venerdì 9 agosto 2019

IL DIO NORDICO. Come inculai Sigfrido.

Penso di me...
che ho sempre sbagliato
ma che sono stato aiutato a farlo.
Tibet.





L'estate di quell'anno andavo ad un lago vicino alla città, c'era uno stabilimento balneare con un grande pontile di legno dove ci si poteva stendere per prendere il sole e alcune scalette scendevano all'acqua.
Ci andavo per un paio di ore il pomeriggio.
Prendevo il sole, nuotavo.
Tornavo a casa.
Quel particolare pomeriggio c'era affollamento, la gente si accalcava a breve distanza, dopo un po' che ero steso mi si mise accanto un uomo, si distese pure lui, diciamo a due metri di distanza, forse meno.
Mi girai per guardarlo mentre lui ricambiava la curiosità.
Molto bello. Un fisico non palestrato e ben fatto. Carnagione chiara, capelli biondi corti e occhi celesti. Un costume bianco. Era in assoluto contrasto con me, abbronzato e bruno, costume nero.
Non ero certo in cerca di sesso e se proprio in quel momento, come quasi sempre, i miei gusti erano rivolti alle donne, ma... provai una stranissima attrazione.
Biondo, alto, bello, perfetto... incarnava quello che era il mito perennemente esistente dell'uomo ariano, una specie di dio nordico o meglio ancora un Sigfrido. Non so se fu questo che risvegliò il mio appetito sessuale o forse il mio innato istinto predatore o, per finire, una crudele voglia di rivalsa senza motivo logico?
Lo vidi impersonare una figura del mio immaginario, figura sulla quale ho sempre fantasticato e fantastico ancora e sulla quale riverso il mio odio e che è certo solo un prodotto del mio cervello mal funzionante, comunque lo vidi impersonare la figura di un ufficiale nazista del terzo Reich e che per me c'era la possibilità di umiliarlo possedendolo.
Mi vedevo godere nel farlo inginocchiare davanti a me, mi piaceva la cosa di sottometterlo, di fargli male, molto male.
Di che nazionalità era?
Mai saputo. Mi stavo eccitando e avevo una evidentissima erezione, sotto il suo sguardo interessato mi accarezzai lungamente il membro sopra il costume, lui mi guardava con evidente desiderio, per farlo cedere misi la mano dentro e gli mostrai velocemente la cappella tesa.
Non fu necessario parlare.
Lasciammo lì i teli, prendemmo... lui lo zainetto, io il borsone e andammo ai gabinetti. Entrammo senza titubare in uno scomparto libero, si levò il costume, il suo cazzo era come lui, pallido, dritto e con il glande roseo, depilato. Levai anch'io il mio. Anche in questo caso c'era il contrasto, il mio scuro e grosso, con pelo abbondante.
Ci accarezzammo brevemente a vicenda, si inginocchiò di sua iniziativa prendendomi in bocca, io appoggiato alla parete di legno gli tenevo le mani sulla testa, gliela tiravo sul cazzo, gli scopavo la bocca, era bravo... davvero bravo, lo prendeva tutto dentro, poi leccava e baciava, succhiava, prima di dargli modo di farmi godere lo allontanai, capì subito cosa desideravo.
Si girò... appoggiando le mani alla parete.
Presi dal borsone un condom, lo misi, non volevo usargli nessuna delicatezza anzi volevo fargli male. In realtà non feci molta fatica a incularlo, era abituato, cominciai a sbatterlo forte, una mano al fianco, l'altra sulla sua nuca a tenerlo chinato, Lo facevo uscire per poi rificcarlo dentro con forza. Volevo che soffrisse e sapevo come fare, lo levavo e lo inserivo con cattiveria curando di farlo entrare nel suo culo non diritto ma con una angolatura anomala, ma non facevo, in realtà, che aumentare il suo piacere.
Non durai moltissimo ma abbastanza.
Mi fece venire con le sue contrazioni, i suoi spasmi, li sentivo dal suo ano mentre godeva e sborrava. Gemeva piano... i gemiti sembravano il fare di un coniglio. Ne godevo.
Ci staccammo, lui uscì per primo, quando tornai al pontile... non c'era più.
Chi usò chi?
Nessun pensiero al riguardo, non era importante, tempo dieci minuti e l'avevo dimenticato come probabile abbia fatto lui nei miei confronti.
So che allora denominai così quell'episodio... “come inculai Sigfrido”.


Tibet.


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